| Col successo su Soderling, i trofei nella bacheca di Federer rifletteranno il suo sorriso senza più ombre... di Marco Sicolo
Tutto il mondo che ama questo sport e apprezza questo fuoriclasse si è ritrovato domenica a spingere Roger Federer verso la vittoria. Tutti speravamo, e sapevamo, che fosse finalmente giunto il suo momento, e che ciò fosse giusto, giusto e bello.
Ma cos’era, in definitiva, questo momento tanto sospirato? Cosa significa, che rappresenta questa vittoria?
E’ indubbio che Roger abbia da sempre amato questo torneo, non meno di molti altri. Ed è indubbio che abbia da sempre tenuto a vincerlo. Ma c’è una storia di mezzo. Una storia fatta di occasioni perse, di sconfitte pesanti. Non si può dire che fosse come se lui giocasse la finale per la prima volta: il sapore era diverso.
Non era il sapore della novità assoluta, perché ci era già andato vicino, e non era il sapore dello strapotere, gusto che hanno avuto altre sue vittorie. Non era neanche – diciamolo – il gusto intenso dell’emozione pura: sapevamo tutti, lui per primo, a cosa andavamo incontro. Abbiamo vissuto momenti più emozionanti di questo.
E allora qual è il segreto speciale, nascosto, quasi silenzioso, di questo successo? E’ una vittoria che si inserisce in tanti di quei discorsi aperti, che ridurla ad uno solo di essi sarebbe riduttivo: il più importante, ad esempio, quello che forse resterà nei libri dei record, è probabilmente il raggiungimento dei fatidici 14 Slam.
Ma che dire allora del cosiddetto “Grande Slam nella Carriera”, o dell’importanza che può avere questa vittoria per il futuro, restituendo a Roger una fiducia e una credibilità che fanno facilmente immaginare che il bottino di Slam è destinato a rimpinguarsi? Che dire, a maggior ragione, dell’importanza per il presente, con un ragazzo di quasi ventott’anni che si scrolla di dosso, in un solo momento, tonnellate di dubbi, vagonate di critiche, raffiche di scetticismo, restituendo al mittente, ai tanti mittenti, chilometri e chilometri d’inchiostro, consumato per scrivergli imprudenti epitaffi?
Forse quest’ultima è la sensazione più immediata che sentirà, ma secondo noi il significato principale di quanto è accaduto domenica è un altro, meno immediato, forse, e meno intenso, ma più pregnante e duraturo.
Con la vittoria su Soderling, Roger ha semplicemente dato lustro alla sua già piena bacheca: un lustro definitivo, eterno. Vincendo il Roland Garros, quel torneo che gli sfuggiva e che aveva dato adito a tante detrazioni sulla sua grandezza, Federer si è assicurato per il resto della sua vita delle boccate d’aria più fresca e più piene per le passeggiate, reali e metaforiche, che si farà nella sua sala dei trofei.
Chiunque, in futuro, si imbatterà in un elenco delle vittorie dello svizzero, respirerà un’atmosfera di completezza che non è propria di tutti i palmarès ‘ricchi’: lo stesso albo d’oro dell’ex n. 1 traboccava di trofei di Wimbledon e US Open, ma più questi crescevano di numero, più mettevano in risalto lo zero alla voce ‘RG’.
Si era creata la situazione paradossale, tipico fardello di molti campioni indiscussi ma ‘incompleti’, per cui davanti a una bacheca stracolma, la prima cosa che si guarda è…. ciò che manca. Come quando al ristorante ci si lamenta per un caffè cattivo, dimenticandosi l’abboffata che l’ha preceduto.
Il titolo di domenica cancella quello zero così rumoroso, riempiendo quel minuscolo vuoto sugli scaffali e restituendo tutta l’attenzione ai tanti trofei vinti.
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